mercoledì 4 marzo 2009

Il vigile

Alla luce del silenzio sulla notizia da parte dei principali organi di informazione, incollo l'articolo tratto da Il Manifesto in cui invece la notizia compare eccome...

Sempre sul tema, segnalo inoltre il link http://veritanascoste.wordpress.com/2009/03/03/toto-cuffaro-alla-commisione-vigilanza-della-rai/ in cui sono pubblicati una serie di video tratti dal documentario "La mafia bianca"...

Alla prossima nomina,
Ary

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Fonte: Il Manifesto (20.02.2009)
(articolo di Federico Scarcella)

VIGILANZA Indicato dall'Udc, ha una vecchia passione per telecamere e tv. E per gli uffici stampa
E ora Cuffaro vigilerà su Santoro
Promozione per l'ex governatore siciliano, condannato a 5 anni per mafia

L'esordio televisivo di Salvatore «Totò» Cuffaro avvenne in diretta nazionale nel 1991, durante la famosa puntata di Samarcanda dal teatro Politeama di Palermo per ricordare Libero Grassi, da poco assassinato per avere detto no al pizzo. Sul palco, tra gli ospiti di Michele Santoro e Maurizio Costanzo, che in quell'occasione decisero di unire le forze, c'era Giovanni Falcone, che qualche mese dopo sarebbe stato fatto a pezzi nella strage di Capaci. Totò, fresco deputato regionale della Dc, camicia azzurra e cravatta, svettò dalla poltrona e disse la sua: «Ho ascoltato buffonate, volgari aggressioni alla migliore classe dirigente siciliana», cioè a Calogero Mannino, suo padrino politico. E ancora: «Questa è informazione mafiosa».
Nel 1991 l'editto bulgaro era ancora in cerca d'autore. Totò, futuro presidente della Regione siciliana, anticipò i tempi. E adesso, tornato al senato, si appresta a rappresentare l'Udc in commissione di vigilanza Rai (il partito lo ha designato preferendolo al capogruppo Giampiero D'Alia). Il curriculum glielo consente. Con il mondo dell'informazione i suoi rapporti sono sempre stati all'insegna della massima generosità: massacrare gli avversari, adulare gli amici. E a proposito di amici, uno degli ultimi atti compiuti da governatore (prima che una sentenza di condanna a 5 anni per aver favorito qualche boss mafioso lo costringesse alle dimissioni) fu l'assunzione nel suo ufficio stampa, per chiamata diretta, di 19 giornalisti che, sommati ai 4 che già c'erano, fanno 23; più della Casa Bianca e tutti con la qualifica di caporedattori. Qualche giorno fa la Corte dei conti lo ha richiamato, chiedendogli di risarcire 4 milioni per questo atto di esuberanza. Ma siccome Cuffaro crede nella giustizia, ha detto che non è per niente preoccupato: i giudici contabili capiranno. Cosa? Forse che l'amicizia è un grande sentimento e il denaro una volgarità.
Incurante dei dettagli, fino a qualche anno fa il senatore aveva sui media poche idee ma confuse. Qualcuno del suo ex staff racconta che quando vedeva una telecamera avvicinarsi la domanda più frequente era: ma quello di che Rai è?
Tra le sue passioni c'era e c'è Michele Santoro, sul quale Cuffaro dovrà vigilare. Il conduttore di Anno Zero rappresenta per lui la sintesi di tutti i mali dell'informazione: non farsi i fatti propri. Il suo motto è, innanzitutto, leggerezza. All'indomani della condanna a 5 anni provò ad annegare l'amarezza nei cannoli, festeggiando con gli uomini del suo entourage, ufficio stampa compreso. Un fotografo beccò le leccornie sul tavolo e, con suo stupore, l'immagine finì sulle prime pagine dei giornali. Di quella vicenda, che il 26 gennaio 2008 lo portò alle dimissioni, riuscì a trarne il lato buono: una grande campagna pubblicitaria per i dolci della sua amata terra e per la pasticceria dell'amico che glieli aveva forniti, il quale da allora ha moltiplicato gli affari. In precedenza aveva tentato di promuovere anche un altro prodotto tipico, la coppola, indossata con orgoglio e ostentazione nel salotto di Anno Zero.
Costretto nell'ombra dal suo ex amico Raffaele Lombardo, diventato governatore della Sicilia dietro sua insistenza, Cuffaro ha da togliersi molti sassolini dalle scarpe. Lombardo sta decuffarizzando l'amministrazione, dove ogni funzionario che si rispetti aveva una foto di Totò sulla scrivania. Il senatore non comprende questa furia iconoclasta di Lombardo, che sembrava il continuatore della sua specie e, invece, da mesi i due non si rivolgono più la parola. I suoi lo hanno in buona parte abbandonato e i pochi fedeli vivono nella clandestinità.
Lombardo non è quell'istrione di Totò che trasformava ogni gaffe in oro e che per indicare una brochure diceva abatjour («perché, non si chiama così?»). Con Lombardo la storia sembra essere tornata indietro, quando lo spettacolo della politica era, sì, una commedia, ma non era ancora cabaret.
Totò saprà rifarsi: dalla vigilanza vigilerà affinché ogni cosa sia chiamata con il suo nome, perché ogni brochure possa essere vendicata.

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